LE FONTI ENERGETICHE RINNOVABILI
Colture agricole
Colture forestali
Liquami
Fonti di biomassa
Residui industriali
Rifiuti urbani
• contributo alla diversi cazione delle fonti. D’altra parte, vanno annoverati anche degli svantaggi: • necessità di un’oculata gestione del patrimonio forestale, agricolo e zootecnico, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, per evitare di sottrarre risorse alle colture alimentari; • consumi d’acqua (risorsa di per sé preziosa e non ancora disponibile a tutti a suf cienza); • emissioni di particolato in atmosfera a opera dei piccoli impianti domestici (stufe a legna o a pellet), privi dei ltri di cui sono invece dotate le grandi centrali termiche o di cogenerazione ( vedi pag. 126-127); • costi generalmente ancora elevati per la costruzione degli impianti di utilizzo delle biomasse; • impatti sulla biodiversità. Il primo e più grave svantaggio deriva dal fatto che oggi la produzione di energia dalle biomasse non si basa solo sulla valorizzazione dei prodotti di scarto dell’agricoltura e dell’allevamento; al contrario, in diverse regioni del mondo si coltivano grandi estensioni di vegetali (inclusi cereali, girasole, soia, palma da olio) destinati esclusivamente a questo scopo, anziché a sfamare la popolazione o il bestiame negli allevamenti. Infatti gli incentivi scali con i quali diversi governi sostengono lo sviluppo dell’energia da biomasse
fanno sì che, per gli agricoltori, sia più redditizio destinare i raccolti alla produzione di bioetanolo o biodiesel che ai mercati alimentari. La conseguenza è che si riduce la quantità di cibo complessivamente a disposizione della popolazione mondiale, che nel frattempo sta aumentando: ciò contribuisce a far lievitare i prezzi di cereali e soia, con gravi conseguenze per i paesi più poveri. A brevissimo l’UE e gli Stati Uniti potrebbero rivedere le loro politiche di incentivi proprio per evitare questa distorsione, sostenendo in modo deciso soltanto la produzione di energia da biomasse di scarto. Un’altra via che già si sta percorrendo con successo è quella di incentivare lo sfruttamento delle alghe e la coltivazione di specie vegetali non commestibili, in grado di crescere anche su terreni non adatti alla coltivazione di generi alimentari, con poca acqua e senza bisogno di concimi; per esempio due arbusti, il miscanto (utilizzabile per la combustione diretta) e la jatropha (per la produzione di biodiesel). I biocarburanti ottenuti da biomasse di origine “non alimentare” sono detti di seconda generazione ; l’Italia è all’avanguardia nella loro produzione: a Crescentino, nel Vercellese, nel 2013 è stato inaugurato il primo impianto al mondo capace di ricavare bioetanolo dalla lignina contenuta nella paglia e nelle canne comuni.
Residui animali
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biodegradabili: a contatto con i batteri del suolo si decompongono in tempi rapidi e contribuiscono a concimare il terreno. Presentano dunque indubbi vantaggi ambientali. Ma, come accade per i biocarburanti di prima generazione, destinare prodotti come il mais o la barbabietola alla creazione di bioplastiche
❱ Grazie a tecnologie innovative, da alcuni vegetali si possono ricavare non solo i biocarburanti, ma anche altri prodotti simili a quelli tradizionalmente derivati dagli idrocarburi fossili. È il caso delle bioplastiche : vengono chiamate così le plastiche ottenute da materie prime rinnovabili come l’amido (o le farine) di mais, o di altri cereali e patate. Molto spesso le bioplastiche sono anche
sottrae risorse alimentari al pianeta, con le stesse ricadute negative. Ecco perché anche in quest’ambito la ricerca è approdata a bioplastiche di seconda generazione , ottenute per esempio da scarti della canna e della barbabietola da zucchero, da polpa di legno e olio di ricino.
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